Se potessimo costruire una metrica per descrivere (e misurare) quanto una certa intellighenzia abbia sterzato verso la più comoda e piacevole vallata chiamata “Piazza del popolo” abdicando a qualunque dovere deontologico di farsi la scalata, rischiare la caduta ripida, per istruirsi (e comunicare ciò che si è imparato), potremmo vedere chiaramente anche fino a che punto l’assenza di strumenti si sia confusa con la più legittima assenza di metodo di feyerabendiana memoria, finendo per legittimare la prima come un valore, invece che come vuoto culturale da colmare.
Io credo si stia assistendo a una virata populistica dell'intellighenzia umanistica italiana, perlomeno da parte del suo sottobosco (poeti e poetesse impegnati/e, autori di varia estrazione culturale e autrici immischiate in riviste o blog o circoli dei lettori) e dei suoi paladini popolari (come Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Ugo Mattei). Una virata che sul piano etico reputo spregevole e che sul piano umano reputo triste.
In cosa consiste il populismo?
1) Nella volontà di abdicare totalmente alla ricerca dei giusti strumenti
di analisi, in favore dei vecchi strumenti che hanno fatto la nostra fortuna (o
la fortuna dei nostri riferimenti culturali). Questo significa, nel caso
specifico della pandemia, rinunciare a tutti quegli strumenti che hanno una
loro storia difficilmente trattabile in modo amatoriale. Sono la storia della
scienza, la sociologia della scienza, la filosofia della scienza, la scienza
stessa chiaramente, la matematica, ecc. La mia critica non sta nel sostenere
che i non addetti ai lavori non abbiano il diritto di informarsi o di
criticare, ma sta nel fatto che non si può pretendere di passare per
intellettuali impegnati senza essersi impegnati in un faccia a faccia con gli
attrezzi necessari affinché i non addetti ai lavori che ti leggono possano
farsi un'idea non viziata dalla tua incapacità di approfondimento di un
determinato evento.
2) Nel tentativo di salvare capra e cavoli, con un colpo in più ai cavoli
(questioni scientifiche) e una maggiore attenzione verso la capra (questioni
politiche e morali), dal momento che la gente tende ad apprezzare di più ciò
che è alla portata di tutti, ovvero: si ha più interesse verso il folklore
politico che non verso la noiosa (e piena di formule) scienza. Quindi non ci si
dice apertamente no vax ma si diventa o free-vax (de facto escludendo
ogni possibilità di sembrare competenti, poiché la vaccinazione funziona se si
assume come strategia di massa) o vaccinati ma con senso critico, vaccinati che
non staranno in silenzio di fronte alle angherie dei potenti. Insomma, non si
vuole evitare di passare dalla parte del torto agli occhi di chi si stima o di
chi ci legge. Tutto questo senza accorgersi che loro sono parte del problema
nel momento in cui, mesi fa, iniziarono a raccontare di questa fantomatica
deriva autoritaria che, grazie anche alla loro resistenza reazionaria, quindi
non-resistenza, si è andata man mano sempre di più realizzando, sempre entro
certi limiti, poiché esistono delle critiche sane da fare – per esempio alla
burocrazia della pandemia – senza scivolare nel ridicolo.
3) Nella convinzione che ogni nuova informazione sia una dimostrazione
ulteriore di ciò che si sostiene. Quindi la “candidatura” di Belloni diventa
una scusa per parlare di dittatura tecnocratica, o di dittatura draghiana; lo
spam nelle televisioni di informazione e dati che depongono a favore delle
vaccinazioni diventa un pensiero unico da combattere; qualunque forma di
resistenza alla narrazione critica rispetto a vaccinazioni, green pass,
lockdown, ecc., viene vista come servile rispetto al governo, come se non esistesse
una terza via, di chi può criticare certe azioni del governo (e la stupidità
della burocrazia, per riprendere David Graeber) senza rinunciare a un progresso
scientifico effettivo e a un’ammissione di fiducia nei confronti dei
dispositivi necessari per il contenimento di un’emergenza che, principalmente,
è un problema dei poveri (e da qui si vede come, oltretutto, la difesa delle
classi povere secondo i populisti sia solo di facciata, riguardi il fare la
spesa, il poter uscire la sera in un bar ecc, cose che negli anni passati vennero
portate avanti da Casapound; basti pensare al caso di Ostia e della colletta
alimentare).
C’è anche un ulteriore problema, legato stavolta alla spontanea evoluzione di queste realtà di fronte al continuo ipotecare la comunicazione al giornalismo generalista, l’opinionismo spicciolo che ti costringe a vedere Beppe Severgnini difendere i vaccini al posto di, che so, uno storico della scienza o di chi si occupa di questo e dei rapporti tra comunicazione scientifica e società (o di divulgazione). La maggior parte delle volte, infatti, non vediamo nessun confronto, ma uno scontro portato avanti da una parte sorda (quella di coloro che in questo articolo ho chiamato populisti) e una parte arrogante, arrabbiata, ma la cui arroganza e la cui rabbia non sono lo specchio di una frustrazione dovuta a un confronto perso in partenza tra loro, esperti, e altri non esperti e saccenti; bensì tra inesperti e saccenti che si fanno da specchio rivoltando le opinioni dell’altro, in quell’inganno mediatico che, rubando queste parole a Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, li costringe in un mancinismo perpetuo.
È questo doppio che spaventa, questo “complotto al potere” (cfr. Donatella di Cesare, Il complotto al potere, Einaudi 2021), questo tentativo di desocializzare una comunità, di crearne una versione famelica, avida, che nulla lascia a chi potrebbe avere un ruolo e contribuire. Da un lato uno Stato ingolfato nelle pratiche tecniche di stampo securitario (che, come un orologio rotto, si rivelano talvolta necessariamente; si pensi al lockdown o all’uso delle mascherine obbligatorio; ma anche al green pass come strumento di tracciamento e di diffusione tra vaccinati). Dall’altro, una schiera di intellettuali, ex intellettuali e cadetti pronti a viziare in partenza ogni discorso, tra un paragone con il nazismo e uno con la Russia di Stalin, tra un articolo di omeopatia sugli effetti avversi da vaccino e un articolo del Lancet male interpretato, a metà tra culturismo (sfoggio di cultura classica inutile se non declinato nelle pieghe del presente attuale) e infantilismo politico. Così ci si trasferisce nei palazzi del potere, portando le proprie convinzioni ad acquisire un consenso tale da dover essere gestite dalla politica completamente fuori da ogni configurazione politica, la politica dei tecnici che arginano o, in futuro – chissà – la politica dei classici che lamentano cose di cui non lamentarsi e non risolvono nulla, perché nemmeno hanno saputo vedere dove sia davvero il problema.
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