Se potessimo costruire una metrica per descrivere (e misurare) quanto una certa intellighenzia abbia sterzato verso la più comoda e piacevole vallata chiamata “Piazza del popolo” abdicando a qualunque dovere deontologico di farsi la scalata, rischiare la caduta ripida, per istruirsi (e comunicare ciò che si è imparato), potremmo vedere chiaramente anche fino a che punto l’assenza di strumenti si sia confusa con la più legittima assenza di metodo di feyerabendiana memoria, finendo per legittimare la prima come un valore, invece che come vuoto culturale da colmare. Io credo si stia assistendo a una virata populistica dell'intellighenzia umanistica italiana, perlomeno da parte del suo sottobosco (poeti e poetesse impegnati/e, autori di varia estrazione culturale e autrici immischiate in riviste o blog o circoli dei lettori) e dei suoi paladini popolari (come Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Ugo Mattei). Una virata che sul piano etico reputo spregevole e che sul piano umano reputo tr
Sto leggendo una raccolta di articoli e testi di occasione di Umberto Eco (L'era della comunicazione, La nave di Teseo, Torino 2022) e nelle prime pagine (datate 1967!) del libro, nel breve saggio "Per una guerriglia semiologica" Eco individua un grave problema strategico (legato a un grave problema nella comprensione dei mezzi di comunicazione e di come l'informazione arriva ai cervelli della gente). Sostanzialmente, dice Eco, noi ci concentriamo sempre sull'occupare i posti di chi è (al)la Fonte o il Canale della comunicazione, quando il problema non è quello, bensì è alla fine della catena di trasmissione di un messaggio. In particolare, il Destinatario, con il suo Codice, interpreta qualunque cosa gli arrivi dalla TV, indipendentemente che tu l'abbia filtrata o meno. Ovvero: indipendentemente che tu abbia effettivamente conquistato la poltrona del direttore della RAI, o sia in grado di gestire i mezzi di comunicazione. Indipendentemente dalla gestione top-